La Cassazione con la sentenza n. 11270/2020 torna ad affrontare il tema del rimborso dovuto agli utenti della quota per la depurazione dell’acqua se il depuratore non è funzionante.
Un condominio e diversi soggetti privati intraprendono un’azione giudiziaria per ottenere il rimborso di quanto indebitamente pagato all’Azienda che gestisce il servizio idrico locale.
Il Giudice di Pace accoglie le loro istanze, ma l’Azienda convenuta e la Regione appellano la sentenza.
Il Tribunale accoglie parzialmente i rilievi delle convenute, rigettando così la richiesta di restituzione delle somme versate a titolo di corrispettivo per la depurazione delle acque in relazione alla fornitura del servizio idrico.
I ricorrenti narrano di essersi attivati sulla base di quanto stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 335/2008, che ha stabilito che la quota della tariffa prevista per la depurazione delle acque non è dovuta se mancano gli impianti di depurazione o questi sono temporaneamente inattivi. In questo caso infatti l’obbligo di pagamento non è correlato ad alcuna controprestazione.
La Corte con la sentenza n. 11270/2020 accoglie il ricorso evidenziando come “per effetto del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 258, art. 24 (…) si è passati all’applicazione della tariffa del servizio idrico integrato di cui alla legge 5 gennaio 1994 n. 36, art. 13 e ss.“.
In rapporto alla tariffa di fognatura e di depurazione soggetta alla innovata disciplina, questa Corte di legittimità ha affermato che i Comuni non possono chiedere il pagamento dell’apposita tariffa ove non diano prova di essere forniti di impianti di depurazione delle acque reflue.
Fonte: Studio Cataldi